Nonostante gli sforzi per dare impulso al cambiamento, le donne continuano a essere decisamente sottorappresentate nelle campagne pubblicitarie. Julie Eddleman di Google ci parla di tre modi in cui i brand possono realizzare una strategia di marketing che rappresenti per davvero la propria clientela.
In occasione di ogni 8 marzo, la Giornata internazionale dedicata alle donne, i brand superano se stessi con campagne pubblicitarie brillanti e accattivanti, che celebrano le donne e i risultati che hanno ottenuto. Chi non si ricorda di "Fearless Girl", l'installazione a Wall Street in onore della Festa della donna 2017? O la campagna della Mattel dello scorso anno che ha lanciato 15 versioni della Barbie raffiguranti altrettante donne iconiche, dall'ambientalista australiana Bindi Irwin alla leggendaria aviatrice americana Amelia Earhart?
Poi però, per il resto dell'anno, le donne continuano a essere decisamente sottorappresentate nella pubblicità. Prendiamo ad esempio un altro grande evento annuale: il Super Bowl. La NFL stima che le donne rappresentano circa il 50% degli spettatori, eppure, a parte un paio di eccezioni degne di nota, solo pochi annunci si rivolgono ad un'audience femminile o addirittura hanno una donna come protagonista. Questo divario di genere non è solo una curiosità. Infatti, una ricerca finanziata da Google nel 2017 ha rivelato che, nel decennio dal 2006 al 2016, la percentuale di personaggi femminili negli spot pubblicitari è aumentata di soli tre punti percentuali non superando il 36,9%.
Quindi, cosa possono fare i brand per celebrare la parità tra i sessi tutto l'anno e non solo per un giorno? Ecco tre punti di partenza.
Credere ai dati
Se non si conosce l'esistenza di un problema, non si può risolverlo. Fortunatamente, grazie ai recenti progressi tecnologici, per i brand è più facile che mai capire quali sono i miglioramenti necessari per le strategie di comunicazione. Ad esempio, il movimento #SeeHer – una coalizione guidata dall'Association of National Advertisers, l'associazione degli inserzionisti statunitensi, che ha l'obiettivo di garantire che ogni singola donna si veda rappresentata nella pubblicità e nei media – ha sviluppato una metrica per misurare l'uguaglianza di genere, il Gender Equality Measure (GEM), che classifica gli annunci in base a come raffigurano le donne. Finora sono state misurate decine di migliaia di annunci utilizzando la metodologia di ricerca.
La buona notizia è che un approccio scientifico permette a chi si occupa di comunicare i valori di una marca di sostenere la causa della rappresentazione di genere, e spiegare perché deve essere considerata una priorità aziendale. Secondo una recente analisi, l'aumento delle vendite generate dalla pubblicità è risultato massimo per gli annunci che avevano totalizzato i punteggi GEM più elevati e minimo per quelli con i punteggi GEM più bassi.
Concentrarsi sia sulla diversità che sull'inclusione
Troppo spesso si parla di diversità e inclusione come se fossero la stessa cosa, ma invece si tratta di due concetti differenti. La diversità ha l'obiettivo di garantire che gli annunci siano rappresentativi, ovvero che mostrino il giusto equilibrio di persone con differenze di sesso, razza ed etnia, orientamento sessuale e condizione socio-economica. L'ultima campagna di WW (ex Weight Watchers) presenta individui di ogni estrazione sociale ed è un ottimo esempio di un brand che rispecchia fedelmente la sua clientela nell'annuncio.
L'inclusione ha l'obiettivo di garantire che persone diverse si sentano a proprio agio. Nell'ambito delle campagne pubblicitarie, questo significa non solo presentare un gruppo differenziato di persone, ma anche raffigurarle nel modo giusto. È proprio sotto questo aspetto che molti brand si mostrano ancora carenti. Da un'analisi del 2017 di migliaia di annunci è emerso che, considerando gli uomini e le donne in essi rappresentati, i primi avevano circa il 29% e il 28% di probabilità in più di utilizzare parole associate rispettivamente al potere e ai risultati.
Naturalmente questo non significa che gli annunci devono raffigurare donne e ragazze come delle supereroine. Ad esempio, una ricerca commissionata da Google per capire in che modo le donne millennial volevano apparire negli annunci ha rivelato che per lo più chiedevano semplicemente di essere raffigurate "alla pari" e in modo "realistico"1.
Includere più donne dietro le quinte
Anche se può sembrare scontato, una rappresentazione carente sullo schermo è spesso il sintomo di una condizione analoga dietro le quinte. Se prendiamo un esempio da Hollywood, nel 2016 solo il 7% dei film principali era diretto da donne. Non deve sorprendere, dunque, se le donne sono anche ampiamente sottorappresentate nei film.
Il mondo della pubblicità sta finalmente iniziando a capire questo problema e cercando di fare qualcosa per risolverlo. Decine di agenzie e brand, da colossi storici come Coca-Cola ad altre aziende relativamente nuove come Twitter, si sono impegnati per garantire che almeno un'offerta sia associata al nome di una regista donna per ogni spot pubblicitario prodotto. I brand coinvolti in questa iniziativa ne stanno già raccogliendo i frutti. Prendiamo P&G, che ha aderito a giugno 2018. Non sarà un caso se il suo spot su Olay incentrato su una protagonista femminile è stato quello di cui si è parlato di più al Super Bowl di quest'anno.
Pensare oltre la l'8 marzo
Non vedo l'ora di scoprire le creatività al femminile che i brand proporanno per questo 8 marzo. Ma soprattutto mi auguro che non passi molto tempo prima di poter vedere annunci che rappresentino fedelmente il 50% della popolazione mondiale anche al di fuori di questa ricorrenza annuale.